I compiti a casa, davvero un affare di famiglia?
Oggi parliamo di collaborazione scuola e famiglia ed in particolare ci soffermiamo sul delicato tema dei compiti a casa dei bambini che frequentano la scuola primaria.
Su questo problema si intrecciano in molte famiglie discussioni, promesse e punizioni che rendono i pomeriggi piuttosto pesanti per grandi e piccini.
I compiti rappresentano, al di là della funzione didattica, per altro non universalmente condivisa, un impegno per i bambini e le bambine, un limite rispetto alla possibilità di gestire il loro tempo come meglio credono.
In sostanza sono un dovere che deriva dalla loro condizione di essere studenti.
Un primo spunto di riflessione riguarda proprio questo:
i compiti sono un affare dei bambini e degli insegnanti e non dei genitori.
Questo per lo meno a livello teorico. Sul piano pratico, spesso invece succede che i compiti diventano un affare di famiglia, diventano un secondo lavoro per i genitori che si sentono pressati dalle richieste incrociate della scuola e dei figli.
Si assiste così ad una trasposizione dei doveri, non sono più i bambini ad avere la responsabilità dei compiti, ma sono le mamme ed i papà ad assumersi l’onere di farli fare ai figli.
Se i genitori “mollano” i compiti non sono fatti, o sono eseguiti male, con la conseguente condanna morale esplicitata dalla frase tipica “ dovreste seguire di più vostro figlio/a”.
In realtà ciò che occorre chiedere ad un genitore non è aiutare a studiare un bambino/a in senso stretto, ma più in generale aiutare i figli a stare dentro i limiti che le realtà quotidiana e scolastica impongono loro.
Il passaggio dal principio di piacere, che è uno stato fisiologico e legittimo di ciascun neonato, al principio di realtà è assolutamente necessario per garantire una crescita serena ed autonoma.
In altre parole somministrare ai bambini/e piccole frustrazioni li aiuta ad imparare a stare dentro il limite delle cose consente loro di non diventare persone schiave dei propri bisogni e con la necessità assoluta di soddisfarli immediatamente ( i bambini e gli adulti che non accettano, per nessuna ragione un no).
Questa capacità si acquisisce piano, piano nel tempo e passa attraverso i no dei genitori, indispensabili per aiutare un bambino a diventare grande e riuscire a fidarsi di sé.
Se sono schiavo dei miei bisogni non posso nemmeno fidarmi di me stesso.
Nello specifico dei compiti, il ruolo dei genitori non deve essere quello di sostituirsi allo studente o alla maestra, ma più semplicemente deve essere quello di aiutare a stare dentro i limiti e tollerare di fare degli sforzi per una soddisfazione che non è immediata.
“Mi dispiace, ma ora non puoi giocare, anche se so che ti piacerebbe. Devi fare i compiti. La soddisfazione non puoi averla ora, ma l’avrai domani quando la maestra verificherà il tuo lavoro”.
Questa convinzione, se fatta propria dai genitori, può rendere maggiormente credibile ed autorevole il dire al proprio figlio/a di fare i compiti.
In altre parole dobbiamo essere convinti di agire ciò che è giusto per loro. Non possiamo chiedere ad un bambino/a di rinunciare ragionevolmente ad andare a giocare, perché deve fare i compiti, ma dobbiamo pretendere da noi stessi di mantenere il nostro no e tollerare le sue lamentele e capricci, senza troppa rabbia, ma con una certa tranquillità.
Questo, a poco a poco, “addomestica” un bambino/a che piano piano impara a stare dentro al limite e diventa capace di procrastinare la soddisfazione di un bisogno.
Impara inoltre a sentire non solo il bisogno immediato ( ho voglia di giocare), ma anche a pregustare un piacere più lontano nel tempo ( un bel voto nella verifica del giorno dopo), che costituisce il solo modo per dare senso allo sforzo ed alla rinuncia del qui ed ora anche per gli adulti.