LO VOGLIO!!! Rapporto tra adolescenti e consumismo.

LO VOGLIO!!! Rapporto tra adolescenti e consumismo.

 

Il consumismo viene definito un nuovo vizio, sconosciuto alle generazioni precedenti
( U. Galimberti, I vizi capitali ed i nuovi vizi, Milano, Feltrinelli, 2003).

È un vizio perché crea in noi una mentalità a tal punto nichilista da farci pensare che solo assumendo ad ampio spettro il principio del consumo degli oggetti, possiamo garantirci identità, stato sociale, libertà e benessere.
Essendo che la produzione non tollera interruzioni, le merci devono essere consumate e quando per loro natura non si usurano ci pensa la pubblicità a farle diventare obsolete o socialmente non accettabili. Quindi da sostituire. Questo principio è fortemente sentito dagli adolescenti che hanno bisogno di essere sempre “ giusti”.
Gli effetti di questa cultura consumistica si misurano in maniera consistente nella costruzione ed il mantenimento dell’identità personale. Le persone, infatti, inserite in un contesto dove non esiste nulla di durevole, perdono i punti di riferimento per la loro identità, perdono la continuità della loro vita psichica. Questo vale anche per le relazioni interpersonali, che diventano anch’esse soggette alla legge dell’”usa e getta”.
Di fatto se l’adulto di oggi si caratterizza per instabilità ed insicurezza, la questione si amplifica a dismisura per gli adolescenti, che già vivono in modo fisiologico queste due variabili.
In altre parole un ragazzo che già di per sè è incerto sulla propria identità si trova immerso in un mondo adulto che, anziché fornirgli sicurezze, conferma ed aumenta la sua confusione.
Come abbiamo detto gli oggetti hanno un ruolo importante nella costruzione identitaria.
Hanno un grosso significato, perché a causa dei cambiamenti che un ragazzo vive c’è necessità di costruire e ricostruire nuove identificazioni e nuove rappresentazioni della realtà.
Ad esempio l’omologazione al gruppo dei pari passa spesso attraverso il possesso di oggetti, uguali tra loro, che testimoniano l’appartenenza del ragazzo proprio a quel gruppo.
Per questo un genitore deve valutare sempre attentamente le richieste che gli sottopone un figlio.
A fronte di una strategia in cui si dà una risposta immediata, sì oppure no, sarebbe più funzionale una modalità interlocutoria in cui il genitore, con il giudizio sospeso ed un approccio rispettoso, attraverso domande esplorative va alla ricerca del significato sostanziale di quella richiesta.
Questo consente una maggiore conoscenza del mondo interno del proprio figlio, di ciò che pensa, di che idea ha del mondo, di sé e dei propri amici, oltre che la possibilità di prendere poi una decisione più efficace sul piano educativo, perché maggiormente motivata.
Spesso comperare cose ai figli diventa, inconsapevolmente, un gesto riparativo rispetto al poco tempo che i genitori passano con loro. C’è un rischio in questo: impedire ai ragazzi di sperimentare il desiderio.
Se per un neonato è bene che il genitore anticipi i suoi bisogni, per un ragazzino occorre un tempo in cui non ha quell’oggetto o non è soddisfatta quella richiesta. Questo è il tempo del desiderio che dà valore alle cose e non ne permette un consumo vorace, immediato, che lascia insoddisfatti e nuovamente bisognosi. Il consumo infatti non implica passione, ma solo interesse momentaneo. Inoltre contempla la volubilità, quel che piace ora, tra un momento non aggrada più e c’è bisogno di consumare qualcosa d’altro.
Un altro aspetto importante riguarda la gestione delle risorse ed il senso del limite che i genitori hanno necessità di trasmettere ai propri figli.
L’idea che tutto si può avere è molto pericolosa, poiché illusoria. Anche per chi gode di possibilità molto elevate in termini di denaro deve esistere un limite, pena la condanna a consumare continuamente senza mai avere una piena soddisfazione delle cose.
In termini concreti, la paghetta rappresenta un modo possibile per aiutare i ragazzi ad essere responsabili, imparare a fare delle scelte e a gestire le proprie risorse, tenendo a bada i bisogni impulsivi.
In termini quantitativi questa somma va concordata, attraverso un esame di realtà effettuato da genitori e figli. Occorre poi lasciare la libertà di gestione di quel denaro con i soli limiti dati da acquistare oggetti o spendere quei soldi per cose che possano nuocere a livello fisico o psichico ai ragazzi.
Questa libertà limitata consente ai figli di fare un’esperienza di crescita verso un’autonomia adulta e responsabile.
Il rischio infatti del consumismo non è una deviazione della personalità, ma addirittura del dissolvimento della personalità stessa, che rischia di rimanere in balia dei bisogni immediati e fugaci.
Uno stile sobrio e moderato rappresenta un ottimo antidoto contro questo grave rischio.

 

Quando la punizione diventa vendetta

Quando la punizione diventa vendetta

“Volevo solo educarlo, non fargli del male, fargli capire che i morsi fanno male”. Questa la giustificazione addotta da una mamma dopo avere morso un bimbo di  due anni a mezzo. Che i bambini possano mettere a dura prova la pazienza degli adulti è un dato di fatto ma, cosa vi può essere di educativo in un morso? Gesto squisitamente spontaneo e istintivo, mero figlio della rabbia, ai nostri occhi acquista soltanto i contorni della vendetta, non certo della punizione.  Proviamo a  capire la giusta modalità con la quale l’adulto educante deve gestire la rabbia e i sentimenti negativi del bambino.

In ambito educativo  non vale il detto: rendere pan per focaccia.

Vorrei subito sottolineare che trattandosi di un bambino molto piccolo, non possiamo pretendere che questi capisca l’entità di un suo errore o di un atteggiamento sbagliato. Allo stesso tempo, mordere è un comportamento spontaneo che un adulto non dovrebbe mettere in atto, avendo a  disposizione altre modalità, decisamente più simboliche, per gestire il conflitto. Alla scuola d’infanzia, ad esempio, esiste quella che viene definita la seggiolina del pensiero, ovvero uno strumento che consente al bambino di sedersi, fermarsi, pensare e capire che un certo comportamento non va bene. Anche a casa possiamo inventare uno strumento che aiuti il bambino a calmarsi e riflettere. Un genitore che morde non insegna al piccolo che quell’atto non deve ripetersi ma, al contrario, lo acutizza.

 La molla che può far scattare in un adulto un comportamento di questo tipo

Quando un adulto si sente in difficoltà rispetto a un bambino possono scattare in lui delle reazioni dettate dall’esasperazione, dall’incapacità del momento di riuscire ad educare il piccolo.

I meccanismi possibili  da mettere in atto per non farsi sopraffare dall’istinto, dalla rabbia o dalla frustrazione

“Occorre essere e apparire solidi. Non dobbiamo farci spaventare dai bambini, dai loro attacchi di rabbia. Spesso l’errore è proprio quello di non accettare il fatto che anche i piccoli possano provare sentimenti negativi. Non dobbiamo mai inibire le emozioni dei bambini, al contrario dovremmo spiegare loro che possono esprimerle in un altro modo. Dall’agito al simbolico, insomma. I sentimenti non devono essere repressi, ma accettati compresi, tenuti e canalizzati ad esempio attraverso comportamenti più adeguati.  Ad esempio possiamo costruire la scatola della rabbia, il cuscino dei pugni… I bambini, di fronte al senso di impotenza e di inadeguatezza degli adulti, li mettono alla prova, ma non dimentichiamo mai che dietro l’atteggiamento rabbioso di un bimbo vi è una perdita di controllo che comporta in loro un grande dolore. Non limitiamoci ad osservare e a registrare soltanto l’aggressività, cerchiamo di cogliere anche lo stato di malessere che vi si cela”.

Tutti viviamo situazioni personali complesse che possono ripercuotersi sulla qualità del nostro agire. Le nostre difficoltà possono incidere in una relazione educativa

Molto dipende dalla personalità di ciascuno ma i bimbi riescono sempre a sollecitare l’emotività degli adulti. Se una persona vive un momento di difficoltà e non è consapevole del proprio precario equilibrio, il rischio di perdere le staffe diventa alto. I bambini avvertono immediatamente il disagio dell’adulto e ciò li fa sentire insicuri, incapaci di fidarsi, pieni di paura e, paradossalmente, provocano. Un lavoro di relazione con i bambini espone rispetto alle proprie difficoltà. Questa mamma, che non mi sentirei comunque di condannare, evidentemente pensava di riuscire a gestire le proprie emozioni più di quanto sia poi riuscita a fare.

Qual è la giusta punizione?

E’ indispensabile creare una relazione all’insegna della reciprocità umana ma mantenere al contempo la simmetria educativa. L’educatore non deve chiedere a un bambino le prestazioni di un adulto. Un pacca sul sedere, un morso… non sono

punizioni, bensì piccole vendette, frutto dell’esasperazione, che non hanno alcun valore educativo. La punizione ha una valenza positiva soltanto quando aiuta il bimbo a capire che ogni cosa ha una conseguenza. Non sei stato bravo? Allora non andiamo al parco… senza rabbia, con tranquillità, solidità. Reagire con violenza dà al bambino la consapevolezza di essere il più forte, di possedere la capacità di far perdere le staffe all’adulto.

In realtà ciò che è importante è aiutare il bambino ad esprimere le proprie emozioni attraverso comportamenti più adeguati, tutte le emozioni sono legittime, i comportamenti vanno educati.